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Venti anni di riforme

Molti Ministri, un unico denominatore comune?

di Mauro Comoglio e Enrico Rogora

La Conferenza nazionale sulla scuola (tenutasi a Roma dal 30 gennaio al 2 febbraio 1990 e organizzata dal governo allora in carica presieduto da Giulio Andreotti) apre la stagione delle grandi riforme della scuola, declinate in senso autonomista. La relazione finale è affidata a Sabino Cassese che indica la scuola come “servizio collettivo pubblico o nazionale, non statale” nel quale “è dominante un aspetto professionale e non burocratico”. È l’inizio di un quindicennio, culminato con la Riforma Moratti, che vedrà susseguirsi una serie di interventi riformatori, diversi nell’ispirazione ideologica e nel contesto politico, ma tutti accomunati dalla centralità del soggetto apprendente, dalla personalizzazione della didattica e dalla autonomia delle istituzioni scolastiche.

In seno alla conferenza del ’90 si parla, per la prima volta, di scuola come “servizio” e si usano espressioni come “uso efficiente ed efficace delle risorsa assegnate”. Tendenza confermata dalla approvazione da parte del Senato della Repubblica, nel 1993, di una proposta di legge unificata sul riordino dell’istruzione secondaria superiore e sul prolungamento dell’obbligo scolastico. È dalla conferenza di Roma, in altre parole, che prende l’avvio l’autonomia scolastica, realizzata, nel corso degli anni Novanta, da una serie di interventi legislativi che ripercorriamo brevemente nel seguito.

Occorre valutare tali interventi senza dimenticare il quadro di riferimento europeo e gli avvenimenti che caratterizzano, in quegli anni, la nascita dell’Unione europea. Il trattato di Maastricht è sottoscritto, infatti, il 1° febbraio 1992 ed entra in vigore nel novembre del 1993. In esso sono richiamati alcuni principi fondamentali relativi ad istruzione e formazione; in particolare tra i Principi, all’articolo 3 comma p, troviamo l’impegno della nascente Unione europea “per un contributo ad un’istruzione e ad una formazione di qualità e al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri, nel rispetto del principio di sussidiarietà” dettagliato meglio negli articoli 126, 127, 1281.

Sono degli stessi anni i libri bianchi di Jaques Delors e di Édith Cresson, voluti dalla Commissione europea. Il primo, curato da Delors e pubblicato nel 1993 con il titolo “Crescita, Competitività, Occupazione”, è dedicato alla maggiore emergenza comunitaria dell’epoca, la disoccupazione, e vedrà una sua evoluzione nel documento UNESCO, dal significativo titolo “Nell’educazione un tesoro”, curato dallo stesso Delors e pubblicato nel 1996. Il rapporto Cresson (ricordiamo già Primo Ministro di Francia) intitolato “Verso la società cognitiva.

Insegnare e apprendere” è pubblicato dalla Commissione europea nel 1995 in vista dell’Anno europeo dell’educazione e della formazione permanente (1996). Entrambi i documenti ispireranno profondamente le riforme scolastiche italiane degli anni successivi e modificheranno il linguaggio della scuola (vedi box I CONCETTI CHIAVE SULLA SCUOLA NEI DOCUMENTI EUROPEI).

Il 1997 è decisivo nella storia delle recenti riforme nel nostro Paese; in quell’anno sono licenziate le leggi 59 e 127, note come “Leggi Bassanini”, tese alla riforma e semplificazione dell’amministrazione pubblica. In particolare, il comma 1 dell’articolo 21 della Legge 59 dispone che:

L’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo. Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le funzioni dell’Amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente attribuite alle istituzioni scolastiche, attuando a tal fine anche l’estensione ai circoli didattici, alle scuole medie, alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria, della personalità giuridica degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte ed ampliando l’autonomia per tutte le tipologie degli istituti di istruzione, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contabilità dello Stato. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli istituti educativi, tenuto conto delle loro specificità ordinamentali.

È il Decreto del Presidente della Repubblica 275 dell’8 marzo 1999 che dà attuazione ai dettami dell’articolo 21 della Legge 59; non solo, ma il DPR 275 ribalta completamente la prospettiva incardinando l’azione della scuola non più sull’insegnamento, ma sull’apprendimento dello studente che viene così posto al centro dell’istituzione. Tutto il decreto è uniformato ai principi della personalizzazione dell’insegnamento e rappresenta una cesura netta rispetto alla scuola così come era precedentemente concepita, sin dalla nascita della Repubblica. Il particolare il comma 2 dell’articolo 1 è una sorta di documento programmatico in cui sono esplicitate le linee guida della scuola del futuro: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.

Il decreto introduce, tra gli altri, il Piano dell’Offerta Formativa (POF) che all’articolo 3 è così definito:”[…] documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”.

È del febbraio 2000 la legge 30, voluta da Luigi Berlinguer Ministro della Pubblica Istruzione del I Governo Prodi e del successivo Governo D’Alema. La 30 è la legge quadro sul riordino dei cicli e si inserisce nel progetto di riforma complessiva a mosaico pensata da Berlinguer. La riforma punta all’unificazione di elementari e medie in un ciclo unico di 7 anni e la creazione di un ciclo della secondaria articolato in un biennio obbligatorio, unitario e orientativo e di un triennio, con la conclusione dell’obbligo a 15 anni di età. Nel caso della riforma Berlinguer l’accento è posto sull’apprendimento, come leva per superare le disuguaglianze sociali.

Il processo di riforma dei governi di centro sinistra conosce una brusca battuta di arresto con la vittoria della coalizione di centro destra nel 2001. A più di un decennio di distanza dalla Conferenza nazionale sulla scuola, nel dicembre 2001, si tengono gli Stati Generali dell’Istruzione, una due giorni in cui viene presentata la relazione della commissione Bertagna e che segna un’inversione di tendenza rispetto alle precedenti riforme.

La riforma Moratti ha il suo riferimento legislativo nella legge 53 del 2003, legge che semplicisticamente e con uno slogan ad effetto è detta delle 3 I (Inglese, Informatica, Impresa). Si tratta di una legge delega (particolare non trascurabile e che va a significare la delega al governo della sua attuazione) e di impianto scarno e sintetico. Nei fatti, pur abolendo la legge 30, la legge 53 prosegue nell’azione di personalizzazione dell’istruzione2, impernia quella superiore attorno ai licei, regionalizzando l’istruzione professionale. L’attuazione della Riforma Moratti è lenta e farraginosa, soprattutto per la difficoltà dell’emanazione dei decreti attuativi; uno di essi, in particolare, ha un rilievo notevole: il D. Lgs 226 del 2005 che di fatto ridisegna tutto il sistema della scuola secondaria di secondo grado, consegnando alle regioni l’istruzione professionale e riducendo in modo drastico il monte ore dei vari indirizzi scolastici.

Nei 5 anni di permanenza del Ministro Moratti a viale Trastevere, viene anche introdotta nel mondo della scuola, l’idea di poter misurare il raggiungimento di determinati obiettivi, è quello che accade per esempio con le competenze degli studenti, in varie fasi del loro percorso, attraverso i test Invalsi. L’obbligo scolastico scende a 14 anni; sarà il Ministro di centro sinistra Fioroni a riportare l’obbligo a 16 anni nel 2006. È il ritorno di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi nel 2008, che consente ai Ministri Tremonti e Gelmini di proseguire lungo il solco tracciato da Letizia Moratti, con l’approvazione della Legge 133, che è tesa a razionalizzare tempo e investimenti nella scuola e che si risolve con un taglio di 8 miliardi di euro nelle risorse destinate all’istruzione.

La riforma Gelmini prosegue con l’approvazione della legge 169 del 2008, caratterizzata da un impianto conservatore e che, con la reintroduzione del maestro elementare unico e i voti nella scuola primaria, rappresenta un ritorno ad un passato che era stato cancellato negli anni 70.

La legge 107 del luglio 2015 è uno degli interventi legislativi più fortemente caratterizzanti del Governo Renzi; nota come la “Buona scuola”, ha suscitato aspre polemiche sin dalla sua genesi come proposta di legge.

Polemiche che si sono rinfocolate nel corso del 2017 con l’emanazione dei decreti legge attuativi (59, 60, 61, 62, 63, 64) che intervengono su un ampia pletora di aspetti: promozione delle cultura umanistica, istruzione professionale, valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, diritto allo studio, scuole italiane all’estero, Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Ma sono soprattutto l’istituzione dell’alternanza scuola-lavoro (ASL) e l’articolo 9 della legge a incendiare le polveri. I detrattori dell’ASL (divenuta poi PCTO: percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) vedono in essa un ulteriore mattone posto nella costruzione della scuola azienda. L’articolo 9 definisce, invece, le nuove competenze del Dirigente scolastico le cui prerogative e mansioni sono dilatate e potenziate, sino a snaturarne, secondo alcuni le originali funzioni stabilite con la nascita di tale figura, creando tra l’altro conflitti legislativi con gli altri organi di governo della scuola stabiliti dai decreti delegati del 1974, segnatamente il Collegio docenti e il Consiglio di Istituto.

Il resto è storia dei nostri giorni.

Il quadro entro cui si collocano le riforme della scuola italiana degli ultimi anni risulta fortemente condizionato da quello fissato dall’Unione europea nella sessione straordinaria del Consiglio europeo dedicata ai temi economici e sociali il 23 e 24 marzo del 2000 (Strategia di Lisbona),(https://archivio.pubblica.istruzione.it/dg_postsecondaria/allegati/apprperm211101.pdf)

e dalla Strategia Europa 2020, contenuta nella Comunicazione del 3 Marzo 2010(https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2010/IT/1-2010-2020-IT-F1-1.Pdf).

Le strategie europee si fondano su alcuni concetti chiave: società della conoscenza, capitale umano e apprendimento permanente, che vale la pena precisare con il linguaggio di chi li ha proposti. Una “Società della conoscenza” è una società in cui il sapere si configura come risorsa essenziale del sistema economico e produttivo.

Il “capitale umano” viene considerato parte delle risorse economiche di una società, insieme all’ambiente e al “capitale fisico”. Si compone, in particolare, di “conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, acquisite durante la vita da un individuo, che danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di creazione e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli e collettivi”3. La scuola, insieme alla famiglia, alla società e all’ambiente lavorativo, è uno dei luoghi privilegiati, ma non esclusivo, per catalizzare la crescita del capitale umano.

L’accrescimento del capitale umano è diritto fondamentale degli individui che vivono in una società della conoscenza e si realizza attraverso un Apprendimento permanente. Obiettivi principali dell’apprendimento permanente sono la cittadinanza attiva e l’occupabilità.

Per cittadinanza attiva si intende un generico “come le persone partecipano a tutti gli ambiti della vita sociale ed economica, le opportunità e i rischi che devono affrontare nel tentativo di farlo, e la misura in cui ese ritengono di appartenere e di poter intervenire nella società in cui vivono”4, mentre, per occupabilità, si intende una precisa “capacità di trovare e mantenere l’occupazione”.

Le idee centrali del rapporto di Lisbona non nascono nell’ambito della comunità europea ma vengono riprese dalle idee che informano i documenti UNESCO e OCSE dedicati all’educazione e trovano spazio in documenti che hanno preceduto Lisbona 2000 precorrendone i caratteri e gli orientamenti, come il documento Dehlors.

1 Il principio di sussidiarietà è regolato dall’articolo 118 della Costituzione italiana il quale prevede che “Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà”. Tale principio implica che le diverse istituzioni debbano creare le condizioni necessarie per permettere alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività. L’intervento dell’entità di livello superiore, qualora fosse necessario, deve essere temporaneo e teso a restituire l’autonomia d’azione all’entità di livello inferiore. (fonte: www.cittadinanzattiva.it)

2 La personalizzazione della azione educativa stravolge l’idea di scuola intesa come istituzione collettiva, così come era stata pensata alla nascita della Repubblica.

3 Giorgio Allulli, “Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020”, CNOS-FAP (2015).

4 Commission Staff Working Paper, A memorandum on lifelong learning, Commission of the European Communities, Brussels (2000).


L’intero dossier è disponibile sul sito della UniPaPress: Nuova Lettera Matematica. Numero 3.

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