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Gödel al Premio Strega.

A cura di Roberto Lucchetti

Mi piace leggere, soprattutto romanzi, e leggo disordinatamente. Non ho nessuna pretesa di sapere distinguere un bel romanzo da uno cattivo, li divido semplicemente in quelli che mi piacciono e quelli che mi piacciono meno; anche se so riconoscere chi sa scrivere bene, e mi dà fastidio quando leggo qualcosa di mal scritto, sciatto. Un’altra distinzione che a volte mi capita di fare è tra i libri che un autore scrive per sé, e quelli invece scritti per i lettori, con lo scopo principale di avere successo. Non ci vedo una differenza di qualità a priori in questo, ci sono libri votati al successo che sono dei grandi romanzi: il primo esempio che mi viene in mente è In nome della rosa di Umberto Eco.

Naturalmente, anche autore che secondo me sta scrivendo un libro soprattutto per se stesso, spera poi che sia un successo: ma non è quella la molla che lo spinge a scriverlo.  Tra i libri di grande qualità che trovo scritti per sé forse il mio preferito è un breve romanzo, presumo poco noto: si tratta di Montauk, di Max Frisch. Il libro che davvero avrei voluto scrivere io, sceglierei quello al posto di qualunque altro. 

Tra i libri che un autore scrive prima di tutto per sé, io colloco senz’altro Incompletezza, di Deborah Gambetta. Se qualcuno sospetta che ci sia dietro un certo teorema, il sottotitolo toglie ogni dubbio: una storia di Kurt Gödel

Mi ha molto incuriosito il fatto che una persona senza un background matematico si metta a scrivere un testo su un personaggio certamente molto importante, ma non così noto al grande pubblico, come ad esempio Einstein, Nash, Oppenheimer, lo stesso Turing.

Quindi me lo sono caricato sul Kindle e ho cominciato a leggerlo.

Un libro pieno di sorprese. Mi ha affascinato questo intreccio che l’autrice fa tra la propria vita, la vita di Gödel, e i suoi risultati. Le pagine alternano ricordi e sensazioni personali a vicende che riguardano Kurt e tutto quello attorno a lui, e sono inframezzate da poderosi discorsi sulla logica e la teoria degli insiemi del tempo. Se questo muoversi tra tre piani ha veramente fascino (non ricordo un libro che faccia lo stesso, mescolando matematica rigorosa a fatti personali e fatti personali del protagonista dei risultati di cui si parla), c’è un altro aspetto che davvero mi colpisce: l’audacia, la forza, la determinazione di chi scrive di qualcosa che, al momento di concepire il romanzo, non sa nemmeno che cosa sia. E quel qualcosa non è questione di poco conto, perché affronta quel che c’è all’epoca attorno a un risultato gigantesco e alle sue conseguenze nel mondo della filosofia, della logica e della matematica. Il teorema di incompletezza viene dall’autrice storicizzato con grande competenza in un ambito molto vasto, che passa da Cantor, Hilbert e Zermelo; non solo, la sua dimostrazione viene discussa in grande dettaglio. Come non ammirare il coraggio di chi prova a spiegare, anche a un pubblico di non specialisti, un risultato i cui dettagli tecnici sono particolarmente difficili?  Da dove nasce questa forza? L’autrice parla di una vera ossessione nel voler capire questo teorema e il suo sfondo culturale, lo stesso tipo di ossessione che in qualche modo ha spinto Kurt alla ricerca dei suoi risultati. Ma l’ossessione non basta a spiegare il romanzo: voler capire è un passo che precede, e di molto, l’idea di volerne, e soprattutto saperne, parlare. Forse l’autrice lo fa anche perché pensa di aver contratto un debito con se stessa, dopo aver dedicato così tanto tempo allo studio di questo gigantesco risultato: il fatto di averlo fatto, mostra un coraggio straordinario e un talento fuori del comune. 

Ma il libro di Deborah Gambetta non è solo questo, è anche un romanzo molto ben scritto, molto ben architettato, e che parla di matematica con così grande competenza e disinvoltura. Trovo quindi del tutto naturale che sia stato selezionato per la dozzina finalista del premio Strega. 

Dopo essermi addentrato in questo romanzo poderoso, ricco e così ben scritto, dopo aver (in parte) conosciuto la sua autrice tramite il suo stesso racconto, non posso che fare il tifo per un suo grande successo. E concludo osservando che lei ricorda più volte quanto Gödel insistesse che fossero i suoi risultati a parlare per lui: forse Deborah ci dice che questo libro è anche il suo modo di parlarci di sé.

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